Archivo

Posts Tagged ‘sociale’

Terremoto dell’Aquila: un brutto sogno senza un risveglio

Chiunque può dominare una sofferenza, eccetto chi lo sente   

(W. Shakespeare)

 

«Il terremoto dell’Aquila è stato  di 6,3 Mw (Magnitudo del momento sismico), 5,9 gradi Richter e tra 8 gradi Mercalli. La maggior parte dei danni sono stati alla città medievale …  Ci sono  308 morti, circa 1600 feriti e circa 65.000 gli sfollati».

Così cominciavano i notiziari internazionali la mattina del 6 aprile 2009.  Tutti essi parlavano della stessa cosa: la tragedia dell’Aquila. Non solo l’Italia era commossa. Le immagini che viaggiavano velocemente attraverso i mezzi di comunicazione, non lasciavano indifferenti a nessuno. Tutto quello che si poteva vedere era distruzione.

Potevano sentirsi  una ed un’altra volta le migliaia di discorsi che parlavano di solidarietà, pazienza, fede, forza. Il Papa, Berlusconi, ambasciatori, autorità di differenti nazioni, esperti di ogni tipo  tra altri… Tutti loro  avevano qualcosa da dire. Era un andare e venire di informazione.

In Cile, si intervistava a tutti gli italiani che erano vicino: chef, commercianti, dirigenti, autorità. I rispettivi Consolati facevano sforzi per ottenere notizie delle famiglie ed amici di tutti e due  nazionalità che risiedevano in questa città italiana. La preoccupazione era trasversale.

Man mano che passava il tempo, continuavano ad arrivare ragguaglio dell’ultimo minuto. Si sentiva a Berlusconi offrire la sua casa e quelle dei suoi collaboratori per alloggiare le persone affrante e che erano rimaste senza niente…  senza nessuno. Tutto era caos, fino ai discorsi dei «grandi» dell’Italia.

Sono già più di tre anni che succedè il terremoto e ho avuto la possibilità di visitare questa città medievale. Col mio pessimo italiano, domandavo alcune cose. La gente era gentile.  Per loro ero una turista in più… Orientavano e sorridevano a questa straniera, tuttavia, mettendo attenzione ai loro visi, era visibile l’amarezza negli sguardi, la tristezza nelle espressioni, la conformità nelle parole.

Io non ero l’unica. Molte altre persone visitavano la città a modo di una passeggiata domenicale. Tutti noi avevamo uno stesso obiettivo:  arrivare alla «Zona Rossa», la grande attrazione  turistica della città.

Essa era tutta circondata con un cancello, il quale limitava il passo. Militari custodivano che questo si realizzasse…  Pensai in una città dopo la peggiore guerra, quella che gli umani non siamo capaci di vincere …  La guerra della natura.  Un città fantasma, dove si osservavano ancora veicoli schiacciati ed abbandonati sulle strade, locali che solo mantenevano la facciata  ed i suoi interni erano rottami e che rimanevano tali quali, abbandonati dai suoi abitanti che dovevano evacuare con fretta…  Alcune macchine di ricostruzione si vedevano in più posti, le rovine rimanevano ugualmente nelle strade autorizzate ai pedoni. Era un panorama sconsolante al quale mi confrontavo… Solo alcuni locali funzionavano. Ne contai tre.

Passavano i minuti e nella mia mente cominciava ad esser un silenzio spettrale di rispetto davanti a tante testimonianze commoventi di dolore e sofferenza… Foto e strazianti Addii dei  cari che partirono; chiavi appese nel centro della città, di tutti quelli che persero le case; inviti ai turisti a visitare L’Aquila e cercare di palpare l’abbattimento che soffrirono e soffrono tanti italiani, anche strannieri,  che videro le loro esistenze frenate, perché questa tragedia non solo rubò loro le proprie appartenenze materiali e le vite di cari, ma,  li spogliò delle cose più midollari di ognuno di loro…   tolse i sogni, ricordi, lavori, sforzi, speranze che rimasero sconquassate e perse in quella desolazione.

 “Venite all’Aquila. Venite a vedere cosa fa male all’anima. Venite a vedere le pietre che parlano, sussurrano e gridano. Erano frontoni,  architravi, basamenti, capitelli. Venite a vedere quelle finestre che hanno per muro il cielo e che resistono ancora come una preghiera disperata…” scrisse Patrizia Tocci su il quotidiano “Il Centro” (18/08/10)

Leggere questo testo mi fece sentire un po’ male. Qualcosa si vergognò nel mio interno, tuttavia, avevo bisogno di continuare ad osservare… Arrivai ad una piccola figura circondata di fiori appassiti; foto che nonostante erano coperte, il tempo era passato e poco si distinguevano le immagini. Ache lettere scritte con saluti e promesse di ‘non dimenticare’…  E tra tante manifestazioni materiali, richiamò la mia attenzione un’ossidata calcolatrice che rimaneva in un angolo del posto. Così, semplicemente lasciata, senza protezione, senza sicurezza, senza niente… Pensai che nel suo momento, forse potè essergli utile a chi la trovò, ma il rispetto a chi fu il suo sconosciuto padrone fu più grande che la lasciò lì a modo di omaggio alle anime che partirono e nessuno la toccò.

Guardando di fronte e vedere il panorama, tutto riscuoteva un senso…  Era lo scheletro della “Casa dello Studente”, dove molte vite si persero quell’alba. Sul cancello  di protezione appendevano magliette, foto, fiori, ricordi, lettere di genitori, fidanzati, fratelli, amici e sconosciuti che saludavano quei giovani che non  portarono solo i loro sogni con loro, ma anche parte del futuro di ogni caro che dovettero lasciare qui.         

 “Venite all’Aquila… Scattate tutte le foto che volete, ma testimoniate la verità. Date parole a quel poco che hanno potuto vedere  i vostri occhi.   Riferite che  la nostra cocciuta ostinazione ha radici profonde. Che vogliamo tornare a viverci , nonostante tutto, nella nostra città morta e nei piccoli centri morti.”  Continua nel suo testo Tocci. Aggrega che “se qualcuno non vi crederà,  ditegli di venire all’Aquila.  Non abbiamo altre prove a  nostro favore”…  Visitare L’Aquila, è la prova palpabile di tutta una città e la sua gente che tra le sue ilusioni e la realtà, c’è un grido assordante di patimento e conformità… un eterno incubo senza un risveglio.